“Notizie dal mondo” (2020) di Paul Greengrass: metafora western sulle grandi fratture statunitensi

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Più volte si è creduto che il genere western fosse destinato a tramontare; più volte ci si è dovuti ricredere. Grazie ad ibridazioni con altri filoni (non per ultimo quello fantascientifico), e attraverso graduali cambi di prospettiva, la conquista del suolo statunitense ha sempre mostrato una forte malleabilità, come ogni materiale mitologico che si rispetti, anche a notevoli distanze di tempo, e per mano di alcuni tra i migliori registi: John Ford, Howard Hawks, Sergio Leone, Sam Peckinpah, Clint Eastwood.
Notizie dal mondo (2020), con la regia di Paul Greengrass, dall’omonimo romanzo di Paulette Jiles, rende onore alla categoria. Netflix lo ha da poco inserito nel proprio catalogo italiano, insieme ad altri film che, dapprima destinati alla sala (dove hanno semmai brevemente traghettato, come in questo caso), per colpa della pandemia Covid, sono poi stati distribuiti on demand o sulle piattaforme streaming.

Corre l’anno 1870: la Guerra Civile americana, dopo la disfatta del generale Lee nell’aprile 1865, ha visto le forze settentrionali riprendere il controllo del paese e i Secessionisti del Sud piegarsi a una dura capitolazione. Comincia l’era della Ricostruzione post-bellica, guidata dai vincitori unionisti.
Il Texas – in prima linea tra gli Stati insorti – appare adesso una landa turbolenta, piagata da un collettivo sbando identitario nel quale serpeggiano inquietudini, spaesamenti e un sotterraneo revanscismo: non solo le milizie federali incontrano frequentemente l’ostilità della popolazione, ma a chiunque, soprattutto ai veterani, è fatto divieto di portare con sé un’arma da fuoco (la norma, emessa proprio nel 1870, mira a contrastare l’alto tasso di omicidi per cui storicamente il Texas detiene un triste primato). Il razzismo continua altresì a dilagare, sfociando in episodi di estrema ferocia, mentre le tensioni con i nativi non accennano a diminuire, e gli agricoltori, spesso immigrati da paesi europei, vanno spostandosi dove la terra, seppur meno costosa, li espone al rischio di subire rapine e incursioni.

In questo doloroso scenario il capitano Jefferson Kyle Kidd (Tom Hanks), ex combattente dell’esercito secessionista, cavalca di città in città per allestire le sue letture pubbliche: procuratosi i più recenti giornali a disposizione, ne estrapola le principali notizie – riguardanti la nazione o il resto del mondo – da recitare alla massa illetterata. Bastano pochi centesimi per assistere e tenersi informati.
Ogni lettura, al termine di una giornata di duro lavoro, assume così una funzione prettamente sociale, poiché favorisce l’aggregazione della comunità, ravviva il confronto al suo interno, e consente inoltre di misurarsi con una realtà esterna, ossia estranea, che non sia quella morbosamente quotidiana: gli astanti ridono, esultano o protestano, e l’ascolto esercita su di loro una funzione quasi catartica. Il processo va dunque ben al di là del semplice intrattenimento. L’intero spettacolo, a partire dalla stessa posizione elevata che Kidd occupa rispetto alla platea, evoca infatti un assetto teatrale, dove però alcune sfumature moralistiche ricordano invece il sermone dei predicatori, e dove le reazioni viscerali talvolta esibite dagli spettatori sembrano anticipare gli abusi ad opera dei mass media novecenteschi.
Un potere del quale Kidd non approfitta (quasi) mai. Modulando le tonalità nitide e paterne della propria voce, il capitano incarna qualcosa del cantastorie, del lettore radiofonico e soprattutto del maestro di scuola: abile indirizzatore degli umori collettivi, Kidd sa frenarli o infiammarli all’occorrenza, senza mai distaccarsi dall’uditorio a cui ammette di appartenere, poiché egli stesso, non meno degli altri, è uno sconfitto.

Come John Wayne veste i panni del disilluso Ethan, a sua volta ex confederato, nel film Sentieri Selvaggi (The Searchers, J. Ford, 1956, da molti considerata la migliore prova dell’attore), anche Tom Hanks interpreta un reduce della guerra, una figura crepuscolare, a metà tra due mondi, due concezioni della civiltà costrette a convivere senza integrarsi del tutto. E sempre come Ethan, incapace di varcare la soglia del celebre finale, il capitano Jefferson Kyle Kidd sosta sulla soglia dell’avvenire, dove attende che le sue ferite – le stesse dell’America odierna, sempre pronte a sanguinare un grumo di estenuanti contraddizioni – possano cicatrizzarsi da sole. Ma la guarigione resta comunque incompleta. Dopo essersi battuto in favore della causa secessionista, forse per inerzia o forse per esaltazione patriottica (difficilmente lo si può ritenere un sostenitore interessato dello schiavismo), Kidd non possiede più nulla, se non un infelice bagaglio di ricordi coi quali non riesce a fare i conti.

Fin quando un incontro fortuito non ne scuote la coscienza.
Mentre procede nei lunghi itinerari che lo impegnano da un luogo a un altro del paese, il capitano s’imbatte in una carrozza sfasciata, il cui vetturino afroamericano è stato barbaramente impiccato, e la cui unica passeggera (Helena Zengel) – una bambina di dieci anni, biondissima e incapace di parlare inglese – giace nascosta tra gli alberi. Si tratta di un’orfana tedesca, che ha perduto due volte il nucleo familiare di riferimento: prima rapita dagli indiani, in seguito al massacro dei genitori, e poi sopravvissuta allo sterminio degli stessi rapitori, dopo essere stata accolta per sei anni nella loro tribù. Ulteriore riferimento alla trama di Sentieri Selvaggi: anche in quel caso, la nipote di Ethan veniva sequestrata dai Comanche, presso i quali la ragazza cresceva fino a non volersene più separare.

Kidd, malgrado le reticenze iniziali, e contro la stessa volontà della piccola superstite, si assume l’incarico di condurla dai soli consanguinei che le siano rimasti, una coppia di agricoltori residenti a grande distanza da lì; e il viaggio allora affrontato in giro per il Texas, secondo la tipica struttura del road movie – struttura a cui il canone western, sin dai tempi di Ombre Rosse (Stagecoach, J. Ford, 1939), non smette mai di ispirarsi –, fa prevedibilmente nascere un legame affettivo tra l’uomo e la bambina, lontano però da qualsiasi scivolone retorico: un rapporto semplice quanto paritetico, bilanciato dal rispetto, dalla curiosità e, in modo ancor meno banale, dalla protezione reciproca.
Sebbene legati a mondi del tutto stridenti, con le rispettive visioni dell’esistenza (da un lato l’impostazione rettilinea della cultura statunitense, proiettata in avanti verso il potenziale progresso e la conseguente conquista, dall’altro la lettura circolare e onnicomprensiva dei nativi americani), i due personaggi condividono il medesimo senso di perdita, nonché la necessità di vivere e superare il trauma, e per questo non smettono di cercare insieme una via che li sottragga alla frattura da cui altrimenti rimarrebbero spezzati.

Frattura a sua volta impressa nell’arido panorama circostante, laddove ogni elemento diviene barriera, dove le vittime si mescolano ai carnefici, dove i briganti si ergono a sinistri capipopolo, e dove i confini – geografici o culturali – finiscono col separare i neri dai bianchi, i nativi dagli invasori, gli statunitensi dai messicani, i secessionisti dagli unionisti. Metafora asciutta, priva di stonature o di picchi sentenziosi, che ancora una volta rimanda alla radicata frammentazione degli USA, e che raggiunge la sua massima forza espressiva nella rappresentazione evanescente dei nativi, intravisti di notte o tra le sabbie del deserto, come un’ombra nomade e spettrale, condannata all’eterno smarrimento.

Notizie dal mondo non è di certo la prima pellicola in cui vediamo Tom Hanks assumere provvidenziali tratti paterni: basti pensare a Salvate il soldato Ryan (1998, S. Spielberg), pietra miliare del cinema bellico, o al gangster movie Era mio padre (2002, S. Mendes). Con la differenza che stavolta il suo personaggio, estraneo a qualunque forma di sublime eroismo, ed anzi sul punto più volte di perdersi o finire ucciso, trasmette una compostezza ordinaria, umile e imperfetta, colta sulla strada dell’autoassoluzione.

Il regista Paul Greengrass (al centro)

Ma è senz’altro la prima volta che vediamo Tom Hanks calcare i set di un film western; così come è la prima volta che scopriamo il regista Paul Greengrass, di nascita e formazione britannica, cimentarsi col genere. E la sceneggiatura di Notizie dal mondo vanta anche la sua firma.
Alla seconda collaborazione con Hanks – dopo l’ottimo Captain Phillips – Attacco in mare aperto (2013), candidato a numerosi premi Oscar –, il regista abbandona la tradizionale mano frenetica, che lo caratterizza soprattutto nella saga con protagonista Jason Bourne, per adottare un tempo e una forma idonei al tono della storia. Sceglie quindi di soffermarsi sugli scenari, sui silenzi pregni di sensibilità e sui dialoghi concisi, mentre l’azione gli consente di fissare occasionalmente una serie di contrappesi alle principali pause narrative.
Ne ottiene così due pregevoli risultati: la dimostrazione che il western, nel 2020, libero di una vena troppo nostalgica, sia ancora un solco percorribile se motivato dalla volontà di rivolgersi al presente; e la conferma che il potere della carta, stampata e poi declamata, ferisca più della pistola. Ogni tanto.

Emanuele Arciprete

NOTIZIE DAL MONDO

Voto: 7+ / 10

Anno: 2020
Paese di produzione: Stati Uniti d’America
Regia: Paul Greengrass
Soggetto: Paulette Jiles

Sceneggiatura: Luke Davies, Paul Greengrass
Fotografia: Dariusz Wolski
Montaggio: William Goldenberg
Musiche: James Newton Howard
Scenografie: David Crank

Costumi: Mark Bridges
Interpreti: Tom Hanks, Helena Zengel, Michael Angelo Corvino, Elizabeth Marvel 
Genere: Western

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About Author

Nato nel 1990, napoletano di nascita, bolognese di adozione. Cinema, Musica e Letteratura costituiscono il centro gravitazionale di tutte le mie attività materiali e spirituali.

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