Buona la prima: un cast vocale di pregio e due bis per il successo di Tosca messa in scena da Hugo de Ana diretta da Oren

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La stagione del Teatro Comunale di Bologna riparte da Tosca. Quella 29 Gennaio 2022, però, non è una prima normale.
E no. Di mezzo c’è stata e c’è ancora una pandemia che ha cambiato profondamente le abitudini di tutti e boicottato ogni eroico tentativo di programmazione. Le ultime stagioni vissute a singhiozzo  a causa della situazione contingente o i tentativi di ripartenza in location alternative come il PalaDozza, non hanno di certo aiutato gli organizzatori a mantenere saldo il rapporto con il pubblico.
Eppure, la direzione del teatro è riuscita, con gran merito, a non far mai mancare alla città il canto dell’Opera.
A tutto lo staff del TCBO va il primo complimento per l’enorme professionalità, la grande passione e dedizione lavorativa di questi ultimi anni.
Dopo questa doverosa premessa di può disquisire di musica. La recita di cui si scrive, porta con sé l’auspicio di essere la prima di una stagione piena e – ci si augura – senza interruzioni, la prima (stagione) da quasi tre anni a questa parte.
Non poteva che esserci questo titolo in programma, perché Tosca è l’essenza stessa dell’opera. E’ un titolo profondamente drammatico, in cui nessuno dei protagonisti sopravvive agli eventi. L’uomo è al centro e cade vittima delle proprie debolezze.
Magari qualcuno potrebbe pensare che il titolo, estremamente tragico, non sia benaugurate. Non del tutto vero; l’uomo cade ma sullo sfondo vincono gli ideali. Una tragedia non è mai la fine di una storia, ma l’inizio di un nuovo paradigma.  Che sia vero anche parlando dei tempi che corrono?
L’opera, su libretto di Illica e Giacosa da Victorien Sardou, è frutto della più brillante e matura energia creativa di un ancor giovane Puccini.
Dalla sua prima esaltante esecuzione nel gennaio del 1900 al Teatro Costanzi di Roma, per celebrare un’Italia libera e indipendente, l’opera ha riscosso sempre un gran successo di pubblico e consensi. L’opera, per volere dell’editore Ricordi, è ambientata a Roma, capitale del Regno. Questa romanità trasuda da tutti i pori e anche la musica sembra, in alcune melodie, richiamare gli stornelli da osteria.
L’allestimento felsineo di Hugo De Ana è molto simbolista, a tratti criptico.
Due enormi battenti di portoni ed un enorme statuo braccio che sembra ritrarre un giocatore di biliardo nell’istante della preparazione al colpo.
Cosa vorrà mai dire?
I personaggi sono quasi intrappolati in questa cornice e vittime di quel destino determinato dalle reciproche debolezze: gelosia, sete di potere, ingenuità. Ognuno dei personaggi ha la possibilità di scegliere ed è responsabile della propria determinazione.
Ma una volta mossa la prima biglia e avviato il meccanismo tragico non si potrà più tornare indietro.
Sarà questo il significato del colpo di biliardo? Allora, è destino o libero arbitrio?
Forse è solo un fato beffardo che gioca con la volontà dei personaggi, come una sfera che spinta sul tavolo con perizia geometrica muove le altre fino a farle cadere in una buca?
La regia non svela al pubblico il proprio significato ma gli elementi significanti, atto dopo atto rovinano come la storia.
Lasciamo i massimi sistemi per commentare aspetti più frivoli.
È un piacere per gli occhi la mondanità e lo sfarzo all’ingresso del Comunale, sembra un ballo in maschera, sebbene poggiata sulla bocca e non sugli occhi. E’ un’atmosfera incantata che si sublima all’emissione della prima nota, quando va in scena quella liturgica magia che solo una prima stagionale sa dare. L’officiante d’eccezione è il maestro Daniel Oren, una vecchia conoscenza della signorina Flora Tosca. Quante ne avrà fatte?
Il maestro dirige con la confidenza “spavalda” di chi ha intimità con la signora, pardon con la partitura. La sua lettura è vigorosa e ruffiana, così come i due bis su “Vissi d’Arte” e “Lucevan le stelle”, battuti ai cantanti suon di bacchetta.
Parte del pubblico ringrazia mentre un’altra (esigua a dire il vero), borbotta per l’ineleganza del gesto. Ma la prima è una gran festa e Tosca una così bella donna che sarebbe un peccato non avere l’ardore di qualche licenza.
Al diavolo i borbottatori, avrebbero borbottato lo stesso, per questo o quell’altro motivo.
Ma Oren – che ha un Curriculum Vitae che servirebbero ore per leggerlo – può, se ne facciano una ragione. Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non borbottare.
Il cast è di assoluto pregio. Roberto Aronica è un Cavaradossi navigato. Abbiamo temuto il peggio ad inizio primo atto, ma dopo un perdonabilissimo assestamento si è reso autore di una prova di gran classe fino alla meravigliosa aria , regalata al pubblico per ben due volte.
Funziona anche Maria Josè Siri nel ruolo eponimo. Ha una voce precisa che sa penetrare in sala, mai una sbavatura. Non sarà un’amante che indulge a carinerie vocali ma ha carattere da vendere. Come Tosca. Ottimo come sempre Nicolò Ceriani nei panni del sagrestano.
Onesti e adeguati gli altri interpreti, l’Angelotti di Christian Barone, lo Sciarrone di Tong Liu, Raffaele Costantini e Francesca Pucci, rispettivamente carceriere e pastorello e lo Spoletta di Bruno Lazzaretti. Sul coro di Gea Garatti Ansini esprimiamo il solito e meritato giudizio positivo. Certezza!
E Scarpia? Non ce ne siamo dimenticati ma il giudizio su Erwin Schrott è assai complicato. La sua interpretazione rende il personaggio avulso dal contesto sia per problemi di dizione che di scansione ritmica. Nonostante l’ottima vocalità nel cantato, del suo scialbo Scarpia non avrebbe tremato tutta Roma.
Questo non muta l’opinione fin qui espressa: sfarzo, buona regia, ottimo cast, due bis e molti applausi. Come si suole dire Buona la prima, sperando in una stagione piena e senza interruzioni.

Ciro Scannapieco

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