Se il viaggio è bello si ha voglia di ripartire. L’ensemble Zipangu chiude Bologna Modern

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Perché partire? Forse per il desiderio di esplorare territori lontani. Per quella sana e inebriante emozione che si prova difronte all’inconsueto? Per quel senso di smarrimento a cui il viaggiatore contrappone curiosità iperricettiva? Il viaggio, quello vero, è un’esperienza sconvolgente che deve aprire il cuore e la mente ad una nuova ricettività sensoriale. L’ultimo appuntamento del Bologna Modern 2022 ci propone – forse- l’itinerario più esotico esplorando le sonorità di Asia e Ocania.
Se, da un lato, l’itinerario di stampo classico proposto dalla rassegna poteva di primo acchito rassicurare l’ascoltatore, dall’altro il termino “classico” è un contenitore così grande da poter contenere di tutto. Allontanarsi dall’Europa, non sol pone l’ascoltatore difronte ai nuovi stilemi novecenteschi, rei di aver letteralmente deflagrato il linguaggio dei secoli precedenti, ma introduce nuovi elementi culturali che fanno diventare questa musica meticcia. Per scrittura, temperamento e interpretazione. Questo classico è, in fondo, tutto nuovo.
A chiudere la rassegna è stata – lo scorso primo Dicembre – una delle più originali e brillanti formazioni attualmente in circolazione, l’ensemble Zipangu di Fabio Sperandio.
«Zipangu è prima di tutto una categoria della mente, il piacere della scoperta di panorami sonori nuovi, il coraggio di tentare là dove nessuno è ancora arrivato».
. Così ci siamo seduti in sala, nuovi all’ascolto ed anche un po’ curiosi per via di ben tre prime esecuzioni italiane: la Sonata per archi N. 3 di Peter Sculthorpe, Birrung di George Lentz da Mysterium per 11 archi e il Concerto di Tan Dun per orchestra d’archi e gu-zheng, un tipico strumento a corde cinese.
Lo spettacolo è stato introdotto dall’interessante opera sonora “Il suono della lingua” di Mariateresa Sartori.
Si tratta di 11 testi poetici di 11 diverse lingue a cui, con un particolare procedimento creativo, è stato sottratto il significato semantico, lasciando inalterati accenti, rime e metriche. Svincolato dal significato, il testo diventa un’esperienza musicale primitiva, come quella di un bambino che si approccia per la prima volta alla lingua parlata senza comprenderne il concetto espresso. L’inaspettato entrée è stato quasi un rito purificatorio, una sorta di battesimo atto a detergere ogni pregiudizio d’ascolto ed affrontare con spirito nuovo tutta la musica che sarebbe seguita.
Ciò che abbiamo ascoltato non è assolutamente consueto.
Jabiru Dreaming
cattura le suggestive atmosfere australiane del kakadu national park, con melodie aborigene e archi suonati in modo così originale da richiamare al suono sintetico del didgeridoo.
In Birrung (parola aborigena che significa “stelle”) gli archi suonano per gran parte del tempo armonici su una struttura fortemente atonale.
L’esperienza nuova si è arricchita con il Concerto per orchestra d’archi e gu – zheng, uno strumento tradizionale cinese. Abbiamo ascoltato musica ricca di fascino, dove lo strumento suonato da Xu Fengxia, ha dato vita al mondo sonoro di Tan Dun, in bilico tra le melodie microtonali e pentatoniche tradizionali su impalcature armoniche europee.

Il concerto si è concluso con Zipangu, del compositore canadese Claude Vivier, scritto nel 1980 ispirandosi al tradizionale teatro giapponese, il kabuki, ed intriso di echi di sonorità nipponiche, ma anche di elementi della musica carnatica dell’India meridionale. Il nome ricalca la denominazione data al Giappone da Marco Polo nel Milione, Gipangu, per l’appunto.

Ci siamo spinti molto lontani ma si rientra a casa entusiasti, con una gran voglia di ripartire al più presto verso nuove mete. Ci metteremo un po’ prima di rimettere a posto la valigia, tanta è la voglia di riempirla nuovamente. Capita rientrando alla base, solo quando il viaggio è bello.

Ciro Scannapieco

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