Norma del Teatro Comunale di Bologna non convince il pubblico in sala

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Alla fine della vicenda Norma muore – lo sappiamo- ma se fosse un thriller noir staremmo a chiederci chi l’abbia uccisa.
Ovviamente non si parla della trama dove la sacerdotessa druida finisce al rogo assieme al suo amante Pollione, rea di aver intrattenuto relazioni amorose con il nemico romano.
L’uccisione di cui parliamo è musicale e l’assassino appare chiaro fin da principio.
Resta da stabilire il movente ed il grado del reato. Volendo attribuire una responsabilità, Pier Giorgio Morandi è reo di aver scucito e ricucito una partitura che ha una sua eleganza formale. Così, tra tagli, modifiche alla partitura e cabalette sbilenche, sul tavolo chirurgico era adagiato un corpo irriconoscibile.
Se da un lato comprendiamo la necessità di mettere la propria cifra stilistica nella direzione musicale, dall’altro ci saremmo aspettati scelte meno discutibili.
Quel che è accaduto sul podio (ed in buca) è sembrato un vero proprio accanimento.
Anche l’orchestra del Comunale di Bologna (di cui tanto abbiamo celebrato la crescita degli ultimi anni) è sembrata irriconoscibile, nella regressione a vizi che parevano appartenere ormai al passato, come sbavature negli attacchi ed ottoni troppo spesso fuorigiri.
A nulla è servito l’ultimo disperato tentativo di rianimazione da parte dell’ottimo coro diretto da Gea Garatti Ansini; era ormai troppo tardi. Bravi come al solito e non sarebbe nemmeno l’unico punto di merito per la nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna in collaborazione con il Teatro Carlo Felice di Genova.
Certo l’idea registica di Stefania Bonfadelli, infatti, avrebbe meritato ben altro successo.

La scena è molto bella: sullo sfondo un campo di battaglia che si estende per tutta l’ampiezza (a volte eccessiva) del proscenio. Insomma, un’opera in 16/9 dove la dimensione orizzontale prevarica sia la profondità che quella verticale. Il cast creativo risolve questo intoppo con quinte mobili con effetto marmo venato scuro che ricreano il tempio di Norma. Gli elementi scorrevoli non solo riducono l’ampiezza della scena nei momenti topici, ma spesso creano un gioco  molto moderno di chiara matrice cinematografica.
Come, ad esempio, nell’utilizzo di due colonne a tutta altezza che dividono il quadro scenico in tre sezioni quasi indipendenti dove avvengono tre momenti narrativi. Resta un po’ di rammarico, se solo la musica avesse sostenuto il dramma.
Non (completamente) giudicabili i cantanti, sia per la direzione orchestrale egotica che per l’acustica di sala. La voce non particolarmente corposa nella parte centrale del registro di Francesca Dotto, nel ruolo eponimo, soffre della chiassosa tendenza musicale della serata e degli spazi acustici che fagocitano gli estremi di banda. La sua prova è comunque più discreta sia dal punto di vista tecnico che attoriale.
Il Pollione di Stefan Pop è sicuro nella parte ma troppo assertivo rispetto alla discutibile direzione musicale. Parrebbe aver eseguito senza crederci, ma non possiamo dargli tutti i torti.
Un po’ meglio gli altri. Paolo Antognetti su tutti. Il suo Flavio è il miglior personaggio della serata. Buona anche la prova di Veronica Simeoni che è un’Adalgisa sicura.
Un passo falso può sempre capitare e questa Norma del Comunale Nouveau non sarà di certo ricordata per meriti musicali.
In fondo, l’Opera muore e rinasce in un ciclico susseguirsi di recite e visioni. Magari la prossima Norma morirà solo nel racconto della trama, vivendo e splendendo della sua musica. Ce lo auguriamo tutti.

Ciro Scannapieco

Foto Casalucci ©

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