Le Comte Ory del TCBO non è abbastanza Trash

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Mettere d’accordo tutti non è mai facile. Soprattutto quelli dal fischio facile.
Se, poi, lo spettacolo è tutto fuorché perfetto, la stroncatura è dietro l’angolo.
Sarebbe stato meglio distribuire all’ingresso una nota informativa. Qualcosa tipo: “non adatto ai melomani incalliti, ai filologi rossiniani, ai troppo seriosi, ai tradizionalisti…”. Così facendo, però, in sala sarebbero rimasti in tre e forse avrebbero detto buu anche quelli. Di certo non avremmo assistito alla tragicomica pantomima degli scandalizzati in procinto di strapparsi le vesti. Per onor di verità, non avevano nemmeno tutti i torti. Ma è veramente andata così male? Diciamolo subito: NO.
La regia di Hugo de Ana strizzava l’occhio al trash più basico con fondali, minimalisti, colorati di lucide tinte al PVC, che contrastavano (non poco) la voluta confusione della scena. Forse troppa.

Ricorrente l’utilizzo di simboli, una massa critica dallo scopo poco intellegibile. Ce n’è di ogni sul palco. Uova, animali, uccelli meccanici, financo dinosauri. Un po’ troppo, effettivamente. C’era così tanta roba che abbiamo fatto fatica a ritrovare il riferimento al Giardino delle Delizie di Hyeronimus Bosch su cui si sarebbero basate le scene.
Eppure, questo non basta a stroncare la recita. Anzi, le trovate più grette e primitive, sono quelle meglio riuscite, come suor Colette in monopattino o il santone con le tavole della legge illuminate al led. Sì, non solo ci hanno strappato un sorriso, ma ci hanno fatto pensare che forse si sarebbe potuto osare ancor di più. Come a dire, Se devi farla sporca… falla davvero lercia.
Per buona pace dei fischiatori che – tanto – avrebbero, fischiato lo stesso. E – tutto sommato – ne capiamo le ragioni.
Altro punto dolente è la concertazione. E ci duole dirlo, avendo tributato più volte alla Lyniv la capacità di tirare fuori dall’orchestra del TCBO colori e sfumature a cui non eravamo abituati. Questa volta, purtroppo, il gioco non riesce.
Sarà che il repertorio brillante rossiniano non è nella sua zona di azione più congeniale, sarà che gli ottoni le hanno tirato qualche sgambetto qui e lì, ma in generale la concertazione esplosiva di Rossini è sembrata seduta e appesantita.
Perfino il Coro preparato da Gea Garatti Ansini, sebbene autore di una prestazione discreta per preparazione, è sembrato imbrigliato in una sorta di macchinosità.
Ci si trova con il giudizio sospeso nel mezzo, nonostante un cast vocale che a leggere i nomi sarebbe di tutto rispetto. Ma anche qui non c’è il “tutto bianco” che avremmo auspicato.
Ci tocca di nuovo esprimerci in scala di grigi. Se da un lato i personaggi femminili hanno decisamente convinto, sugli uomini c’è qualche ombra.
Veramente buona la prova di Sara Blach che impersona una convincente Adèle per voce e presenza. Sorprendente la prova di Lamia Beuque, il cui Isolier affianca al gran carattere una buona prestazione vocale.
Ci saremmo aspettati qualcosa di più dal veterano rossiniano Antonino Siragusa. Il suo conte, però, portato a termine più di mestiere che di arte, non decolla davvero mai. Discorso simile per il Raimbaud di Nicola Alaimo che ha vocalità, ma non ha la baldanza del ruolo.
Meglio, invece, il Gouverneur di Davide Giangregorio. A tutti lasciamo l’alibi di quanto prodotto in buca. Tra gli altri,si distingue la buona Alice di Silvia Spessot.
Ci resta il dubbio di cosa sarebbe stata questa messinscena se la regia avesse avuto coraggio di farla davvero sporca.
Forse sarebbero arrivati lo stesso i fischi ma a fronte di una coerenza nell’approccio. Sinceramente a noi non è dispiaciuto, nonostante le numerose sbavature. Va detto, però, che non ci ha nemmeno esaltato ed in questioni di giudizio, in medio (non semper) stat virtus.

Ciro Scannapieco

Foto Andrea Ranzi

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