Il malinteso di Albert Camus

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Continua la programmazione del Festival di Teatro XS a Salerno dove domenica 10 marzo 2024 la compagnia Al castello di Foligno (PG) ha allestito Il malinteso, nella traduzione di Vito Pandolfi, un testo non molto rappresentato di Albert Camus con la regia di Claudio Pesaresi. Di non facile lettura, lo spettacolo dalle tonalità plumbee rievoca alcune tematiche proprie dell’autore francese. Sembrerebbe un noir ma è una tragedia dal sapore classico. Sarebbe bastato poco per evitare “il malinteso”, ma non è questo il destino di Jan, viaggiatore vittima di due assassine. Marta, giovane donna incupita da una vita anaffettiva e ripetitiva, che non sorride mai e la vecchia madre stanca della vita, guscio vuoto, votata all’inerzia, gestiscono un oscuro albergo in Boemia e (anche) per il “principio della speranza” di cui parlava Ernest Bloch (l’uomo ha bisogno di una fuga… una fuga attraverso una porta appena dischiusa…) usano uccidere i loro sporadici avventori, uomini soli e ricchi.
Il piano è potersi concedere un futuro assolato in un Altrove mitizzato, un luogo dove rifiorire, dove sorridere dinanzi al mare, dove rinascere alla bellezza, dove dimenticare la crudeltà del proprio agire, dove il cuore pietrificato possa finalmente scandire un tempo significante, un presente felice. Partecipe di una asfittica routine/realtà, testimone e complice, un domestico che tutto osserva, severo ed inquietante nel suo mutismo, che alla fine della piéce assumerà le sembianze del dio che nega. Un “no” che erompe e sancisce la visione del drammaturgo sull’assurdità della condizione umana.
Sembrerebbe un noir ma Jan non è uomo qualsiasi, è difatti il figlio e fratello della coppia diabolica, allontanatosi molto tempo prima, è colui che “altrove” ha realizzato una condizione di libertà, di amore e felicità ed ora vuole ritornare al luogo natio. Jan non rivela nulla sulla sua parentela e sulle sue intenzioni, ed è solo indirettamente nel dialogo con la moglie Maria che apprendiamo il suo confuso progetto. Se Jan avesse detto: “Eccomi, sono io e sono vostro figlio”, sarebbe stato possibile il dialogo, non più fondato sul nulla come nel dramma (…)”(Camus nei suoi Taccuini verso la fine del 1945).
Il delitto consumato assumerà successivamente una portata dirompente per le due donne: una volta svelata la vera identità dell’anonimo viandante sarà distrutta la loro vita, si lacererà la loro relazione simbiotica, con un finale di morte. Anche la sorte di Maria non sarà migliore, votata a vivere “in questo deserto”.
Il trio femminile Marta, la Madre, Maria rispettivamente Alessandra Marini, Emanuela Fuso, Anna Maria Magnini alle prese con un testo sfaccettato ed a tratti brillante, delinea i personaggi in maniera convincente seppur non manca nell’algida Marta qualche sbavatura. Giuseppe Rafoni è Jan incerto, esitante quanto basta tra il farsi riconoscere ed il tempo che occorre per ridiventare figlio e fare il proprio dovere, e Claudio Pesaresi si ritaglia il ruolo del crudele servitore con l’unica folgorante battuta che sigla l’epilogo.
La sua regia sottolinea le atmosfere prive di luce, rispettando la scrittura drammaturgica, intrisa di riferimenti filosofici ed evangelici (ribaltamento della parabola del figliuol prodigo, Marta e Maria) e l’andamento in crescendo che sottende una imminente tragedia. Calda l’accoglienza del pubblico al teatro Genovesi.

Dadadago

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