«Luisa Miller» torna al “suo” San Carlo e trova un’orchestra “casual”

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Una presunta infedeltà di una donna, mai che lo fosse quella ben più diffusa del cosiddetto sesso forte, l’arroganza e la protervia del potere, anche aggiungendovi un tenero amore paterno,  non sarebbero spunti bastevoli    per un  dramma in prosa, figurarsi per un melodramma.
Quando però gli ingredienti sono ben cucinati da Giuseppe Verdi, tutto cambia e lo sa bene la splendida Nadine Sierra, protagonista in «Luisa Miller» al Teatro di San Carlo.
L’esecuzione in forma di concerto ha poi assegnato alla musica del genio di Busseto e al libretto di Salvadore Cammarano dalla tragedia «Kabale und Liebe» (Intrigo e amore) di Schiller, le uniche chiavi dell’animo dello spettatore in cui le melodie e i versi sono entrati con discrezione e rispetto, atteggiamenti indispensabili per raggiungere le profondità più sensibili, dove albergano timori, rimpianti e non emendabili  sensi di colpa di ciascuno.
Il fallimento dei  moti del 1848 aveva suggerito a Verdi che le azioni di popoli oppressi necessitavano anche di ripensamenti radicali  dei rapporti intenti alle società, a cominciare da quelli tra generazioni e tra i generi.
Pure se composta proprio per il Teatro di San Carlo, «Luisa Miller» vi mancava da dieci anni e il ritorno ha visto anche una garbata e rispettosa protesta dei professori d’orchestra scesi in buca in abiti casual  per protestare contro il ridotto numero di prove a disposizione e per sollecitare la piena copertura dell’organico e non rispandendo della eventuale ridotta qualità della prestazione della serata.
Condotte dall’esperto Daniele Callegari, le maestranze artistiche sancarliane, con Fabrizio Cassi Maestro del Coro, non hanno sfigurato, ma la grande capacità di risolvere le emergenze crea rammarico di quanta eccellenza gli stessi artisti sarebbero in grado di esprimere se concesso loro maggiore tempo, che, a parità di alzate di sipario, implica maggiore turnazione e perciò organici più ampi.
Le volontà sono state espresse e confidiamo che il management della Fondazione saprà tenere fede, proseguendo lungo il percorso virtuoso intrapreso con determinazione.
Quanto alla serata del 6 giugno, una nota di merito va al primo clarinetto, Luca Sartori, cui  Verdi ha assegnato una parte notevole allo strumento del quale Sebastiani era apprezzato virtuoso al San Carlo l’8 dicembre 1849.
Accanto ad una Nadine Sierra, tecnicamente solida e luminosamente comunicativa in un ruolo verdiano a impronta ancora belcantistica, il Rodolfo di Michael Fabiano è stato convincente, con tutta la frenesia quasi adolescenziale ben rappresentata da un’emissione chiara, quasi sempre ben proiettata.
Franco Vassallo è un tipico baritono nobile che nel ruolo di Miller ha fatto presagire tutta l’evoluzione dei ruoli paterni verdiani.
Nobiltà arrogante quella bene espressa da Gianluca Buratto nel ruolo del Conte Walter e uno Jago ante litteram quello espresso da Krzysztof Bączyk in Wurm. Pregevole il passo “a cappella” con intonazione perfettamente mantenuta.
Valentina Pluzhnikov nella parte di Federica, Sabrina Vitolo e Salvatore De Crescenzo rispettivamente in Laura e Un contadino hanno completato il cast; efficace il Coro saldamente guidato da  Fabrizio Cassi.
«Luisa Miller» , come il quasi contemporaneo  «Stiffelio»,  può essere ascoltata godendo il Verdi in divenire, cogliendo nell’opera i germi di quanto di lì a poco sarebbe sbocciato e, ci piace pensare che la forzata immersione  dell’autore in un  modello “napoletano” post-belcantistico abbia contributo ad offrire alla posterità   i capolavori della maturità verdiana.
Applausi ben sostenuti e ovazione per la sempre più napoletana Nadine Sierra

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