Di Don Giovanni ci si innamora sempre

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Era dal 2018 che Don Giovanni non seduceva Bologna.
Tra le tre opere italiane che Wolfgang Amadeus Mozart scrisse sul celebre libretto di Lorenzo Da Ponte, Don Giovanni è certamente la più sfaccettata.

A differenza, degli altri due titoli (Le nozze di Figaro K492 e Così fan tutte K588), qui la vicenda evolve in modo drammatico.
La partitura, che è appuntata come dramma Giocoso, oscilla tra continui cambi di registro in un sottile intreccio di vicende, talvolta buffe, talvolta tragiche che coinvolgono i vari personaggi.

Il Don Giovanni mozartiano è un personaggio molto diverso da quello tramandato dalla precedente tradizione letteraria.
Da Ponte per il suo libretto si ispirò quasi certamente ad uno precedente di Giovanni Bertati intitolato Don Juan Tenorio, ossia Il convitato di pietra. A sua volta Bertati pare avesse preso spunto da un dramma in versi dell’anno 1630 dello scrittore spagnolo Tirso de Molina, Il seduttore di Siviglia e il convitato di pietra (El burlador de Sevilla y Convidado de piedra). Successivamente (e prima della coppia Mozart- Da Ponte) la figura di Don Juan Tenorio, fu ripresa da Molière né il Don Giovanni o Il convitato di pietra. Tutte queste esperienze letterarie furono sicuramente mutuate per la stesura del libretto ma nell’opera del genio di Salisburgo il personaggio principale viene privato del lato umano che rendeva il Don Giovanni di de Molina sicuramente umanamente più accettabile.

Qui, il protagonista è vuoto di sentimenti, privo di qualsiasi introspezione psicologica, ossessionato solo dal numero di conquiste (ben catalogate ed archiviate da Leporello “Madamina! Il catalogo è questo, Delle belle che amò il padron mio:Un catalogo egli è che ho fatto io; Osservate, leggete con me. In Italia seicento e quaranta, In Almagna duecento e trent’una, Cento in Francia, in Turchia novant’una, Ma in Spagna son già mille e tre.“).
Il suo è un amore mordi e fuggi, privo di passionalità; Don Giovanni si avventa su qualunque donna ne invada il campo visivo per una forma di superficiale e bulimica voracità sessuale in cui la donna conquistata conta meno della conquista stessa: “V’han fra queste contadine, Cameriere, cittadine, V’han contesse, baronesse, Marchesine, principesse, E v’han donne d’ogni grado, d’ogni forma, d’ogni età.

L’Opera si articola in due atti e i personaggi ne caratterizzano fortemente il tono che, se generalmente è comico, da opera buffa, diviene di colpo drammatico e serio quando Donna Anna e Don Ottavio prendono la parola.
La caratterizzazione dei personaggi è notevole. Don Giovanni è il protagonista, ma, data la sua scarsa moralità, non può essere un eroe dalla voce tenorile.
La sua parte vocale, infatti, è affidata a un baritono o un basso-baritono. Nel settecento tale registro era fortemente caratterizzante di poca virtù o di un comportamento buffo. Anche per il suo servo, Leporello, infatti, il registro scelto è quello basso; qui, però, l’estensione – che va da un Fa grave fino al Mi acuto- rende la parte buffa, come il personaggio.
La figura del servo, come da tradizione, è centrale nel dipanarsi della vicenda: perennemente in bilico tra l’ironia e l’insolenza, tra la sottomissione e l’insubordinazione, Leporello sarà sì complice del padrone ma anche il primo giudice delle sue malefatte.
Come già recensito per le recenti “Nozze di Figaro”, da cui questo Don Giovanni mutua le scene, Alessandro Talevi fa un ottimo lavoro ed utilizza ottimamente gli spazi del Nouveau.
Molto bella l’idea delle pareti bianche che diventavano spazi per la proiezione di immagini che sublimano la scena senza infarcirla di elementi distonici o pretestuosi, come spesso accade con l’uso scostumato di accompagnamenti visivi. L’impianto scenico è piuttosto tradizionale, con elementi fissi che costruiscono le varie ambientazioni. Se c’è un merito registico è quello di aver risolto la messa in scena del Convitato di Pietra in modo originale e convincente.
Il candore delle scene è in sintonia con l’umore musicale di Martijn Dendievel.
Il suo Mozart non è pirotecnico ma costruisce piccoli intrecci musicali che sostengono le voci.
Non è quel che ci aspettavamo ma, tutto sommato, è una direzione sicura e rispettosa che conferma il giudizio sull’ottima giovane bacchetta.
È perfettamente sintonizzato con questo senso di misura musicale il Don Giovanni di Nahuel Di Pierro.
Se da un lato ci saremmo aspettati un protagonista più spumeggiante, dall’altro la prestazione vocale è stata adeguata. Merito anche di Davide Giangregorio che interpreta un convincente Leporello. Purtroppo, questa recita perde una delle sue protagoniste più attese.
Così, al posto di Olga Peretyatko, in scena va Valentina Varriale, che avrebbe dovuto recitare nel cast alternativo.
La parte di Donna Anna è difficile ma lei la restituisce senza strafare. Karen Gardeazabal è una buona Donna Elvira mentre Elena Bellocci è una Zerlina brillante di cui non ci si può non innamorare, perdonandole anche qualche incertezza tecnica. Molto buona la prova di Renè Barbera che interpeta un Don Ottavio che è un piacere per le orecchie.
Bravi Niccolò Donini e Abramo Rosalen nei panni di Masetto e del Commendatore.
Il Coro diretto da Gea Garatti Ansini è il solito valore aggiunto.
Anche questa volta il finale non è benevolo per il suo protagonista, il seduttore troverà la morte per mezzo dell’anima del già defunto Commendatore.
La giustizia non trionfa tramite persone o istituzioni terrene ma si concretizza attraverso l’interazione con un mondo ultraterreno e quando ciò avviene, nell’ultima scena del secondo atto, il dramma si compie: La fine del Don Giovanni è anche la fine dell’opera che porta il suo nome. Questa recita sostiene bene la storia ed il risultato è assolutamente convincente.
Ma si sa, di Don Giovanni ci si innamora sempre, così è accaduto anche lo scorso 26 Maggio.

Ciro Scannapieco

Foto Andrea Ranzi ©

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