Il Teatro Verdi di Salerno ha ospitato sabato 21 giugno lo spettacolo Works and days, originale e suggestiva performance internazionale del premiatissimo collettivo teatrale FC Bergman I Toneelhuis, inserito nell’ambito del prestigioso Campania Teatro Festival 2025 a direzione artistica di Ruggero Cappuccio, in pieno svolgimento nei teatri di Napoli, e non solo, fino al prossimo 13 luglio.
Il gruppo belga, già insignito del Leone d’Argento per il teatro alla Biennale di Venezia 2023, anche per questa produzione continua la sua sperimentazione caratterizzata da performance senza l’utilizzo delle parole; complessa e straordinaria la regia, drammaturgia e scenografia curata da Stef Aerts, Joé Agemans, Thomas Verstraeten e Marie Vinck che fa un magistrale uso di linguaggi artistici che combinano gesti, musica, performance attoriali/coreografiche suggestive e catturanti. Lo spettacolo è ispirato al poema didascalico Le opere e i giorni di Esiodo, il grecista Aristide Colonna ne colloca la composizione tra il 710 e il 700 a.C., ed in quel solco di mondo contadino cui il poeta si rivolge, fornendo precetti operativi in forma poetica, ordinati cronologicamente secondo le stagioni, la contemporanea drammaturgia dipana la sua investigazione sulla condizione umana, per una riflessione condivisa sulla “casa comune” che è il mondo nel quale viviamo tutti.
La scelta di andare oltre la parola ed il testo recitato, con i sei attori ed i due polistrumentisti di accompagnamento, anch’essi in performance live, ci introduce, sin dalla scena di apertura, in una spaesante metafora di inizio di vita sulla terra, dove l’evocazione di questa architettura cosmogonica ha la semplicità del passaggio da un mondo di natura ed animale ad un mondo dell’uomo, inteso come maschio e femmina, che conoscerà il rito dell’accoppiamento generatore della nascita stessa.
Sarà poi il duro lavoro dei campi, nel rispetto del ritmo delle stagioni e facendo leva sulle regole solidali della comunità, questa l’ispirazione di partenza, e non a caso gli stessi artisti del collettivo parlano di un progetto che è «un autentico inno all’inarrestabile potere del gruppo e alla sconfinata potenza della natura» espresso dalle primitive economie di produzione e di scambio evocate da Esiodo.
Lo stesso poeta greco cantava di una parabola dell’uomo secondo cinque generazioni dell’oro, dell’argento, del bronzo, della stirpe eroica e del ferro, in un pendant tra un’iniziale perfezione e una prepotente finale oppressione, capace di agitare lo spettro di un evento finale dell’umanità stessa. Seguiranno nuove stagioni del mondo, in un’inarrestabile ciclo creatore ed annientatore, ma una fase di sopraffazione e di violenza sembra attendere l’umanità. FC Bergman non ha volontà profetica ma neanche di edulcorata nostalgia, tra passato e futuro ripercorre la “sua” storia dell’umanità attraverso i tableaux vivants dei sei attori in scena, tre uomini e tre donne, interpreti silenti ma fortemente espressivi di questa visionaria narrazione. Il binomio uomo-natura vive alle sue origini una sua coerente ritualità, un aratro-ariete in scena servirà a dissodare il campo-palcoscenico, ad avvicendare stagioni di semina e di raccolto, di accoppiamento e di creazione di dimore stabili, tra templi per il culto e sacrifici animali, dove il lavoro nei campi è fatica del vivere ma anche gioiosa comunanza di vita nelle mense di convivialità contadina.
Gli uomini e le loro divinità vivono in concordia, mentre i i riti di accompagnamento alla nascita e alla morte sono patrimonio della comunità tutta.
C’è un tempo per ogni cosa, dirà poi Qoèlet, e dopo la ruota e l’aratro, in un repentino salto, siamo nell’era delle macchine e della rivoluzione industriale, seducente è la promessa di progresso, una strana macchina, a metà tra locomotiva a vapore e trasformatore meccanico, irrompe alla vista del pubblico ed è il nuovo totem da adorare. Un nuovo quadro con i performer denudati, scompostamente avvolti tra fumi e vapori in una scena inquietantemente in penombra, devotamente adorano e gioiosamente cavalcano le promesse di questa modernità, ignorandone i tradimenti futuri. Sarà poi la stagione della piogge, la comunità solidale di un tempo lascia la scena ad una vecchia donna sola, con fatica riprende l’aratro ma la terra-palcoscenico, oramai, irrimediabilmente infeconda, la costringe ad una operosità da cui non otterrà frutto alcuno. Sopraffatta, sotto una pioggia reale di acqua vaporizzata che, con grande e stupefacente effetto, cade dall’alto sul palco, crollerà esausta. Quei corpi denudati, intanto, sono a semicerchio intorno a questa vecchia, sola e stanca, dove ogni solidarietà si è dissolta, mentre a diluvio universale finito e con il ferroso congegno risalito, in una nuova luce che guadagna la scena, la martoriata terra-palcoscenico urlerà tutta la sua ribellione, sputando in aria una pioggia di ananas di plastica. Siamo al quadro finale, il desolante abbandono di quei corpi racconta solitudini rarefatte e avvelenate, mentre un cane robot entra con sinistro protagonismo sul palco, è senza testa e con una luce abbagliante centrale al suo posto. Una sorta di avveniristico panopticon della sorveglianza, o anche un epigone della nostra civiltà, che fisserà lo spettatore e, forse, saluterà con un suo braccio/zampa metallico quell’ultima donna sul palco. Una chiara e non velata minaccia è già sotto i nostri occhi, lo strapotere della tecnologia e di macchine intelligenti, sempre più sofisticate, insieme ad un lavoro post-alienato, che ha perso ogni etica, e schiavizzante per milioni di esseri umani, sono paradigma accettati di questa nostra “età del ferro” dominata da ingiustizie planetarie. Un senso di drammatica impotenza ci pervade.
La tracotanza prometeica di oggi ha come risultato la violenza contro quella natura da cui tutto ebbe inizio, questo è il cuore del messaggio del gruppo fiammingo, mentre si resta spettatori inchiodati ognuno al proprio posto a sedere, apparentemente distanti eppure immersi in questa esperienza teatrale tridimensionale, godendo esteticamente delle bellissime scenografie ma anche in inquieta riflessione sul destino che attende l’umanità. Tanto irrimediabilmente è andato perduto, in primis le giuste connessioni tra uomo/uomini e natura, e la civiltà post-industriale e distopica, ma già questo termine ha un sapore logorato ed inadatto, pone oramai sfide cruciali ed inevitabili se vogliamo salvarci. Ovviamente, in questo gioco drammaturgico di estrema fisicità e precisa gestualità, sapientemente resa dai performer, non secondario al successo dello spettacolo è il linguaggio della luce curato da Stef Aerts e Joé Agemans e la dimensione sonora affidata ai due musicisti jazz Joachim Badenhorst e Sean Carpio. La riuscitissima “rinunzia alla parola” del collettivo FC Bergman riceve applausi scroscianti, oltre ai due musicisti che suonano musiche originali ispirate a Le Quattro Stagioni di Antonio Vivaldi, utilizzando strumenti vari alcuni anche inventati, applauditissimi i superlativi sei performer Maryam Sserwamukoko, Yorrith De Bakker, Marie Vinck, Fumiyo Ikeda, Geert Goossens e Bonnie Elias.
I loro corpi hanno agito la scena senza soluzione di continuità, con movimenti di precisione ed affiatamento, cambi in diretta di costruzioni scenografiche dal forte impatto visivo, emotivo e razionale, secondo una “tessitura testuale” coerente e drammaturgicamente sorprendente. Anche apocalittica se vogliamo, ma di eloquente monito. A rivedere Works and Days dal 7 al 10 agosto in prima assoluta nel Regno Unito al The Royal Lyceum nell’ambito del Festival Internazionale di Edimburgo 2025 ed il 9 dicembre 2025 al Teatro reale di Bruges.
Marisa Paladino
un progetto di FC Bergman I Toneelhuis
regia, drammaturgia e scenografia Stef Aerts, Joé Agemans, Thomas Verstraeten e Marie Vinck (FC Bergman)
con Stef Aerts, Joé Agemans, Maryam Sserwamukoko, Yorrith De Bakker, Marie Vinck, Fumiyo Ikeda, Geert Goossens, Bonnie Elias
composizione musicale e performance live Joachim Badenhorst e Sean Carpio
costumi An D’Huys
luci Stef Aerts e Joé Agemans
produzione Toneelhuis
in coproduzione con Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg
con il supporto del Tax Shelter del Governo Federale del Belgio, Gallop Tax Shelte
durata 1h e 10 min / consigliato a partire dai 16 anni / sono presenti scene di nudo