Una Lucia di Lammermoor moderna e belcantista al tempo stesso

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È, Lucia di Lammermoor, una  donna che ha strutturato una psicosi ossessiva indotta da un rapporto incestuoso con il fratello Enrico.
Questo e molto altro suggerisce la regia di Lorenzo Mariani dell’opera di Donizetti che è in scena al Teatro Comunale di Bologna, registrando trionfali successi soprattutto grazie alla limpidissima e duttile conduzione di Michele Mariotti.
Il direttore pesarese, per il suo debutto nel Donizetti serio ha scelto di aprire tutti i tagli di tradizione dando luogo ad una versione integrale del capolavoro scritto per il Teatro San Carlo nel 1835.
Fino a quando saliranno sul podio direttori come Mariotti, capaci di rallentando, di cesure di frase, di ritenuti e affrettando e di cura nel cesello delle frasi, potremo ben affermare che il belcantismo non sia stata una corrente compositiva o lo stile di un’epoca, bensì un atteggiamento intellettuale mirato ad esaltare la cantabilità in partiture di ogni epoca.
Il cast ha avuto due protagonisti in stato di grazia in Irina Lungu e Stefan Pop, intensi ed empatici.
Il soprano ha perfettamente una Lucia dall’animo turbato e vittima di un fratello, un seduttivo più che tirannico Markus Werba.
Già in “Regnava nel silenzio”, accanto ad una Alisa, che Mariani vuole condivida l’instabilità emotiva della sua padrona e che è interpretata da un’inappuntabile Elena Traversi, Lucia racconta la visione con la partecipazione di una donna borderline. Recitazione e linea di canto di Irina Lungu consegnano il biglietto da visita che promette una scena della follia tanto belcantistica quanto intensa, sfidando chi ritenesse inconciliabili le due qualità. Promessa mantenuta con successo.
Stefan Pop debuttava il ruolo e dobbiamo dire di essere sorpresi di come finora il simpatico tenore non si fosse cimentato con un personaggio in cui squillo e cantabilità emergono con grande efficacia e coinvolgimento.
Il maturo Donizetti, alle soglie dei quarant’anni, compose per il Teatro San Carlo di Napoli quella che sarebbe stata una tra le sue opere più amate, e sicuramente, tra quelle tragiche, la preferita: Lucia di Lammermoor.
Il libretto fu tratto da Salvadore Cammarano, pittore, poeta e direttore degli allestimenti al Real Teatro di San Carlo, dal romanzo di Walter Scott The Bride of Lammermoor.
Dallo stesso soggetto erano stati tratti, nel lustro che precede il lavoro donizettiano, altri melodrammi da autori come Michele Carafa, Luigi Riesk, Ivar Frederik Bredal e Alberto Mazzuccato.
Gli elementi vincenti erano l’amore contrastato, la ragion di stato, la calunnia, la gelosia, la follia, e infine il suicidio; Cammarano, forse anche per ridurre possibili contrasti con la censura borbonica, che già aveva bocciato la precedente tragedia in musica di Donizetti (Maria Stuarda), retrotraspose la vicenda dal 1702 di Giacomo II alla fine del XVI secolo, scompaginando i riferimenti storici a personaggi reali.
Lorenzo Mariani traspone la vicenda in quegli anni ingannevoli e controversi del ‘900 tra le due guerre, periodo in cui speranze e degenerazioni delle utopie consegnavano il mondo a follie autoritarie e genocide.
Verde e rosso, natura vegetale (il casato di Egdardo, Ravenswood rimanda a Corvo del legno)e sangue dominano le scene disegnate da Maurizio Balò con i suggestivi video di Fabio Massico Iaquone e Luca Attilii; tutto sotto le luci di Linus Fellbom.
Un tavolo è fil rouge totemico e su esso si sottoscrivono contratti e si squartano e decapitano cervi, si redigono false lettere d’amore e vi si danza in preda a un letale delirio.
Coerenti con gli stati d’animo e con le opzioni cromatiche sono stati i bei costumi di Silvia Aymonino.
La prova del Coro, diretto da Andrea Faidutti, ha pienamente convinto anche per la pieghevolezza fraseologica.
Nei restanti ruoli solistici spicca la maestosa prestazione di Evgeny Stavinsky nella parte di un Raimondo forse troppo laico nel costume, ma profondo.
Non entusiasmante timbricamente la prestazione di Gianluca Floris in Normanno, in debito di volume nella scena di apertura nonostante il Coro si impegni a cantare quasi a mezza voce.
Più dimessa di quanto il già esile personaggio esprima, la resa, vocalmente non negativa, di Alessandro Luciano, nel ruolo di Arturo.
Archiviato il successo del debutto, Mariotti condurrà Lucia al Covent Garden, mentre per la prossima stagione si annuncia il debutto pucciniano, nel frattempo salutiamo il giovane direttore pesarese mentre, montato sulla bici, sfreccia per le calde vie del centro di Bologna, dispensando cenni di saluto agli ammiratori che gli riservano ancora applausi.

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