San Leucio si colora di Oriente con la Tragedia Giapponese di Puccini

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A Caserta dal 2016 l’Estate è da Re! A volerlo fu Vincenzo De Luca che, appena eletto alla Presidenza della Regione Campania, pensò alla Reggia di Caserta come il luogo più adatto per la programmazione estiva dei due teatri lirici della regione: il San Carlo di Napoli e il Verdi di Salerno.
Ma non solo:  grazie ad una politica dei costi contenuta ed una particolare scontistica per i giovani e gli studenti, l’obiettivo era inoltre di dare a tutti la possibilità di vivere l’esperienza di ascoltare la grande musica e i suoi straordinari protagonisti. Il tempo gli ha dato ragione e la fortunata rassegna giunta alla sua terza edizione vedrà quest’anno un’offerta di spettacoli coordinata tra l’Aperia del Parco Reale, la Cappella Palatina e il Belvedere di San Leucio e punterà pertanto ad una valorizzazione di questo sito Unesco in particolare e di tutta l’area casertana con un rilancio che coinvolga l’intera città in un percorso virtuoso di sviluppo turistico e promozione territoriale.
Il programma 2018, curato da Antonio Marzullo, ha portato in scena, sabato 21 luglio alle ore 21, sul palco allestito per la prima volta nel bel cortile della Real Colonia di San Leucio, Madama Butterfly, capolavoro di Giacomo Puccini sul libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica e ipotesto di Long e Belasco. Come spiega Peppe Iannicelli, che ha introdotto la serata, l’utopia di Re Ferdinando di dar vita ad una comunità autonoma (chiamata Ferdinandopoli) dove uomini e donne percepissero salario equiparato, lascia a Caserta questo belvedere con vista sulle campagne il Vesuvio e Capri, gli appartamenti reali, il giardino all’italiana e l’annesso Museo della seta dove è possibile visitare i macchinari coi quali si tesseva la seta divenuta famosa in tutto il mondo, tanto da arrivare ad arredare la Casa Bianca, Buckingham Palace e il Palazzo del Quirinale.
Alle spalle un orizzonte che si dipana a perdita d’occhio, la regia affidata a Renzo Giacchieri è riuscita a calamitare l’attenzione della vasta platea su di uno spazio intimissimo e immobile per tutti e tre gli atti, una “casa a soffietto” tipica di Nagasaki, dove si consuma quella che il regista stesso definisce “una storia semplice e terribile che mette in scena la leggerezza della tragedia” spiegando “uso quest’ossimoro per esprimere in maniera efficace l’estrema potenza emotiva del lavoro pucciniano”.
Mirabile nel ruolo del titolo il soprano cinese Hui He, che ha saputo scegliere con accuratezza le tinte dalla variegata tavolozza che una ineccepibile tecnica vocale le mette a disposizione, riuscendo a restituire accanto agli aspetti di ingenuità fanciullesca di Cio Cio – San, quelli di eroina dalla morale salda e dalla fede incrollabile, fino allo straziante estremo sacrificio.
Efficace, nonostante qualche lieve incongruenza di emissione nel registro acuto, Piero Giuliacci nei panni del tenente della marina degli Stati Uniti F B Pinkerton, il tenore ha saputo far vivere al suo personaggio quella evoluzione psicologica e quei contrasti propri della partitura pucciniana.
Il console Sharpless di Alberto Mastromarino ha messo in luce bel timbro baritonale e statura interpretativa, qualche lieve disomogeneità è probabilmente da attribuirsi alla circostanza di una sostituzione definita in extremis. Temperamento aristocratico e colore brunito per la Suzuki portata in scena da Eufemia Tufano, che ha fornito buona prova faticando un po’ a mantenere sonorità nella tessitura grave.
Convincente e per sua natura insinuante il Goro di Marcello Nardis. Mentre lo zio Bonzo di Renzo Ran e il Principe Yamadori di Antonio Mazza hanno avuto qualche problema nella proiezione dei suoni soffrendo forse gli spazi aperti e un disservizio dell’impianto di amplificazione. A rendere ancor più il senso della distanza culturale oriente/occidente, soprattutto nell’universo femminile, prossima la conclusione, il sopraggiungere della bionda americana in tailleur Miriam Artiaco, espressiva ed appropriata. A completare il cast l’Ufficiale del Registro (Salvatore De Crescenzo) e Dolore (Nicolò Pittari),
Pregevole il coro a bocca chiusa alla fine del secondo atto, un coro senza parola che lascia alla melodia l’instaurarsi di quel senso di sospensione che prelude all’epilogo dei fatti narrati.
Il finale di Puccini Illica apre le porte ad un ventaglio di interpretazioni, la sensibilità e l’intelligenza registiche di Renzo Giacchieri hanno voluto, in ottemperanza alla compostezza della morale nipponica e al senso dell’onore orientale, il corpo della giovane geisha sottratto, per mano di figure tradizionali giapponesi, allo sguardo del colonizzatore sessuale giunto forse a depredare ancora.
L’Orchestra Filarmonica Salernitana “Giuseppe Verdi” ha assecondato la minuziosa e attenta direzione di Francesco Rosa registrando qualche problema più evidente nella sezione fiati. Il coro è stato preparato da Francesco Aliberti.

Mariapaola Meo

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