Di grande fascino e raffinatezza l’esecuzione dell’ Adriana Lecouvrer andata in scena al Teatro Verdi di Salerno il 7 ottobre scorso (con replica il 9) ad opera dell’orchestra salernitana diretta con profondità dal maestro Daniel Oren e di un cast vocale di eccezione.
Il capolavoro di Cilea sul libretto di Antonio Colautti tratto dall’omonimo dramma in prosa di Scribe e Legouvé, ispirato alla vita della celebre attrice della Comédie Française, che esalta in particolar modo i valori del teatro secondo la cifra di un teatro al quadrato, ha avuto in Ermonela Jaho una grande interprete nel ruolo della protagonista, capace di assecondare sia i valori musicali che attoriali della sua parte.
Ad affiancarla nella parte di Maurizio è stato un prestante Charles Castronovo che ha gradualmente acquistato verità di espressione nell’intensificarsi della vicenda, mentre i ruoli del premuroso Michonnet e della superba principessa di Bouillon, rihiedenti una non minore personalità e presenza scenica, sono stati rispettivamente ricoperti dal bravo Misha Kiria e da un’eccellente Teresa Romano che ha espresso con carattere e padronanza la sua piena vocalità di mezzosoprano nell’incarnare con forza la passionalità del personaggio e la tragica rivalità amorosa nei confronti di Adriana di cui causerà la morte.
Carlo Striuli ha svolto con partecipazione la parte del principe di Bouillon. A completare il cast in armonia: Francesco Pittari nei panni di un ben caratterizzato abate di Chazeuil, le vivaci Cristin Arsenova e Lorrie García, rispettivamente Mad.lla Jouvenot e Mad.lla Dangeville, Fabio Previati ( Quinault), Enzo Pedroni (Poisson).
A imprimersi nel cuore dello spettatore Ermonela Jaho che ha ricoperto il suo difficile ruolo con intensità e destrezza vocale districandosi abilmente nei passaggi dalla declamazione al canto che lo caratterizzano fin dalla entrata in scena del personaggio alle prese con lo studio della parte di “Rossana” nel Bajazet di Racine, così come nell’espressione delle diverse sfaccettature psicologiche di Adriana, da quelle più accorate della donna innamorata, a quelle incisive e a volte enfatiche della diva di teatro, con una grande varietà di accenti, capace di emozionarsi ed emozionare, come nella scena della morte non prima di un’ultima evocazione di teatro nel teatro nelle ultime battute.
Non è un caso che la regia elegante e misurata di Renzo Giacchieri lasci proprio all’immagine del teatro specchiato sul palcoscenico l’ultima parola, a sancire l’essenza protagonistica di quest’ultimo in tale opera.
Le scene sobrie e pittoriche di Alfredo Troisi hanno restituito un Settecento non di maniera in linea con le scelte registiche che hanno riguardato anche l’impiego delle luci, così come i costumi ideati in collaborazione tra i due.
Essenziale alla resa espressiva del dramma l’apporto dell’orchestra, che ha dato il meglio di sé, e del suo direttore.
Questi, andando oltre la categoria dell’estetica verista propria degli anni che videro la nascita del capolavoro di Cilea, ne ha dato una resa musicale stringata, priva di enfasi ma nello stesso tempo volta a dare risalto al lirismo e all’eleganza della scrittura, in senso moderno, più vicina all’impressionismo che ai toni accesi di un Mascagni o di un Leocavallo e soprattutto seguendo molto da vicino e in maniera eloquente e sottile la variatà di toni e gradazioni dei personaggi e delle diverse situazioni sceniche.
Sono così emersi oltre che i limpidi timbri e lo scintillio coloristico, ad esempio nel brano che precede l’apparizione di Adriana, la struggente malinconia e la drammaticità di un stile in cui canto parola e azione sono strettamente aderenti tra loro. Inserto più propriamente settecentesco, il balletto inscenato nel terzo atto all’interno della festa nel palazzo dei Principi di Bouillon, “Il giudizio di Paride” , affidato in ogni caso alla snella coreografia di Corona Paone.
Il Coro diretto ad arte da Armando Tasso ha contornato con disinvoltura e giusta vocalità i momenti di insieme. Applausi scroscianti per tutti a conclusione di un allestimento di altissima qualità.
Rosanna Di Giuseppe