L’Albatros : quando il teatro promuove il dialogo tra i popoli

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In principio c’è un palcoscenico spoglio, a terra corpi inerti; dall’immagine proiettata sul fondo si capisce che siamo in fondo al mare, anticipazione del tragico finale.
Poi, come in un flashback, ecco cinque personaggi, donne e uomini, con poco o niente in mano, tranne delle taniche , carburante che gli consenta di salire a bordo del barcone : inizia così lo spettacolo L’Albatros, approdato, è il caso di dirlo, finalmente a Catania , al Teatro Sangiorgi il 27 ottobre 2023, risultato del progetto internazionale di collaborazione transfrontaliera Italia-Tunisia “Accademia”, coprodotto dal Teatro Stabile di Catania e dal Théâtre de l’Opéra di Tunisi e andato in scena con successo a Tunisi il 19 settembre 2023 .

Uno spettacolo che , momento finale di un ciclo di formazione segnato da incontri artistici e tecnici tra i partner tunisini e italiani, affronta il tema dell’emigrazione , e lo fa dando voce alle due sponde di quel mare che le unisce e le divide, la sponda da cui si parte e quella dove si approda.
Si confrontano e si incontrano due culture, due diverse condizioni di vita, due realtà teatrali. La prima parte , affidata alla compagnia tunisina, diretta da Chedli Arfaoui, che firma anche il testo e le scene, interpretata da eccellenti attori ( Fatma Ben Sidaine, Abdelkader Ben Said, Mariem Ben Hemida, Ali Ben Said e Malek Zouadi, luci di Mohamed Larbi Hached, musiche Ouadah Ouin, costumi Naouel Soud scenografo realizzatore Kamel Dekhil)  mette in scena l’angosciante racconto del viaggio di cinque emigranti, delle avversità affrontate, dei loro lutti. Scorrono sul fondo immagini del mare , ora calmo, ora agitato , immagini – cui siamo ormai abituati -di barche stracolme di esseri umani, di barche naufragate, di resoconti di telegiornali, mentre i personaggi narrano le loro storie , il loro viaggio , mentre cantano, mentre protestano perché venga loro consegnato il corpo di un compagno di viaggio, mentre chiedono aiuto invano. Uno spettacolo toccante, struggente ma anche con momenti di poesia («…vorrei che mi lavassero con le tue lacrime prima di seppellirmi..»).
E quando viene citato il celebre monologo da La Tempesta di Shakespeare in cui Prospero rinuncia alla magia, e quindi a scatenare nuove e più terribili tempeste, ecco un barlume di speranza ; ma subito dopo, il racconto biblico della costruzione dell’Arca di Noè ricorda che furono in pochi a potervi salire , e il diluvio si scatena (bravissimi gli attori/ funamboli che “mimano” la tempesta ) e fa dire ad uno dei protagonisti : «ringrazio il mare che ci ha accolto senza visto o passaporto ».

Su un altro registro la seconda parte dello spettacolo , affidata alla blasonata compagnia del Teatro Stabile di Catania Carmela Buffa Calleo, Pietro Casano, Valeria La Bua, Franco Mirabella, Rita Fuoco Salonia, Agostino Zumbo) e che racconta dell’accoglienza all’arrivo in Italia di coloro che sopravvivono . «Nella nostra messa in scena – scrive la regista Cinzia Maccagnano, che firma anche scenografia , coreografia e costumi , con le luci di Gaetano LaMela abbiamo voluto creare un equilibrio tra uno sguardo analitico e una vena poetica , spostando di continuo il punto di vista , attraverso il grottesco e il tragico , mescolando linguaggi e strumenti della tradizione italiana (il gesto della commedia dell’arte, il movimento corporeo, la parola) che convergono tutti a creare immagini e suggestioni certo più poetiche della realtà».
Più poetiche e meno crude, ma non inverosimili, come l’episodio – a tratti anche esilarante – del tipico venditore ambulante catanese  alle prese con un ragazzo straniero che gli chiede un lavoro , qualunque lavoro. Pochi oggetti scenici, due sedie che all’occorrenza diventano una bancarella , due copertoni, un albero con le radici in aria che non si riesce a piantare, trasformano lo spazio . Basata sul testo “La Baia dei sogni “ di Emanuela Pistone , la piéce dà vita ad una galleria di personaggi , a cominciare dall’inquietante affabulatore chiamato l‘Enterteiner, (un bravissimo Agostino Zumbo) che accoglie all’arrivo i migranti, come il presentatore di uno spettacolo di varietà o il proprietario di un Luna Park, accompagnato significativamente dalla celebre canzone di Kurt Weill , Youkali, che descrive un’isola immaginaria, terra dei desideri e della felicità .
È la Baia dei sogni , nelle parole dell’Enterteiner, un luogo dove tutto è possibile, dove si possono realizzare tutti i propri sogni, fama, successo, soldi, a patto di «superare degli ostacoli»; i vari personaggi – la volontaria, la burocrate, lo stesso ambulante (eccellenti le caratterizzazioni rispettivamente di Valeria La Bua, Carmela Buffa Calleo, Pietro Casano, ma anche quelle successive  di Rita Fuoco Salonia e Franco Mirabella , emigranti italiana ed egiziano)   disegnano il quadro di un sistema di accoglienza a volte farraginoso, improvvisato, disorganizzato e contraddittorio. Inevitabile pensare alle “nostre” politiche di accoglienza quanto meno insufficienti quando non scellerate e disumane, che parlano di respingimenti e rimpatri, che blateravano di impossibili blocchi navali , ed ora addirittura di impensabili centri di detenzione oltreconfine. Non è però uno spettacolo di denuncia, l’intento non è strettamente politico , ma profondamente umano, come umano è il desiderio di cercare migliori condizioni di vita , di salvare la vita stessa, che è quello che muove l’uomo da tempi immemorabili : anche noi fummo migranti – a maggior ragione da e per la Sicilia – anche noi cercammo un approdo sicuro . Siamo figli di naufràgi e migrazioni, che anche il mito ci racconta, con Enea che fugge da Troia in fiamme per poi fondare Roma :«…i Troiani, con gran desiderio di terra, sbarcati calpestano la riva bramata e distendono sul lido le membra madide di sale… »  Infatti nelle note di regia Maccagnano scrive : «Abbiamo osservato , da teatranti , la nostra società, e ne abbiamo colto tutta l’esasperazione, la violenza, i pregiudizi, e abbiamo tentato, mescolando esempi antichi (poiché è nel mito in cui ci si rispecchia che il presente si può comprendere) e situazioni attuali , di mostrare quello che abbiamo scoperto in questo nostro intenso e coinvolgente percorso, e cioè che il fenomeno dei migranti è un evento insito nella natura stessa dell’uomo che da sempre lotta per costruire un mondo migliore, un mondo in cui le parole pace e speranza abbiano finalmente significato».
In questo senso va interpretata la scena finale in cui tutti i personaggi, tunisini e italiani, si ritrovano insieme a condividere il palcoscenico e metaforicamente il destino,  in un tripudio di abbracci, emozione e anche commozione , sentimenti condivisi dal pubblico in sala,  mentre  Gli uccelli della canzone di  Battiato , anch’essi migranti – come migrante su lunghissime distanze è l’albatros del titolo –  ci trasportano in alto al di fuori e al di sopra di noi stessi, «cambiano le prospettive al mondo» mostrandolo da una visuale più ampia e meno egoistica. Finale salutato da grande apprezzamento e scroscianti applausi per entrambe le compagnie.
«
Il teatro è lo strumento che può trasformare le contraddizioni in condivisioni » sono  ancora parole della  regista , e forse il teatro potrà  riuscire dove la politica fallisce.
Il giorno dopo, 28 ottobre, sulla spiaggia di Marinella di Selinunte, in provincia di Trapani, sono stati rinvenuti i corpi di cinque migranti, cinque come i protagonisti del viaggio.
«
Vorrei che mi lavassero con le tue lacrime prima di seppellirmi…»

 

  Le foto sono di Renato Zacchia e di Photo Srld

 

Antonella Guida

 

 

 

 

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