«Il baciamano» di Manlio Santanelli, un 1799 a Napoli tra orrore e umanità

0

foto Maurizio Mansi

«Il baciamano» ovvero il desiderio del baciamano, cioè “di quella cosa che l’uommene fanno alli femmene”, questo è il forte desiderio di Janara la protagonista dell’omonimo testo teatrale del drammaturgo napoletano Manlio Santanelli scritto nel 1993.

E per questa popolana energica e risoluta l’occasione arriva quando, legato mani e piedi, gli arriva nell’abitazione-grotta in cui vive,  con il marito ed i quattro figli, il Gentiluomo, un giacobino fatto prigioniero e pronto da essere cucinato.
Una storia certamente inusuale, a tratti ispirata a fatti di cronaca di allora ma anche surreale nel suo insieme, dove due mondi completamente diversi si fronteggiano, si annusano, forse per un attimo si desiderano. Lei una popolana ‘lazzara’ e lui un gentiluomo di fede giacobina, protagonisti di un intreccio di sopraffazione e di cannibalismo, metafore di un processo di oppressione crudele, dove tra il surreale e una crudezza realista, a tratti volutamente disturbante, le lancette del tempo sono state spostate all’indietro fino alla rivoluzione del 1799 a Napoli. La prima rappresentazione è nel cortile del Palazzo Reale di Napoli nel 1999, da allora un susseguirsi di allestimenti di grande successo, capaci di parlare in modo sempre attuale al diverso pubblico. In scena domenica 3 marzo 2024 al Teatro Genovesi di Salerno nell’ambito della rassegna Festival Teatro XS Città di Salerno 2024, per la regia di Gennaro Criscuolo, lo spettacolo, già forte di un testo originale ed altamente espressivo, oltre che di una lingua ‘impastata’ di termini appartenenti ad un napoletano arcaico, ma pieno di energia e musicalità, ha incontrato il largo consenso del  pubblico. Complice la generosa e coinvolgente interpretazione della protagonista da parte di Lucia del Gatto, mattatrice della serata grazie alla sua versatilità interpretativa di un personaggio intorno al quale, del resto, ruota quasi tutta la messinscena. Una donna piena di ferina vitalità ma anche di fragilità esistenziale, ad affiancarla nei panni del Gentiluomo un consono Gennaro Criscuolo, calato nel suo ruolo di ’illuminista’ convintamente saldo nei suoi ideali di giustizia e fermo nel credo di una superiorità della raison sui sentimenti.
I suoni di Marina Criscuolo, oltre luci, scene e costumi curati dalla stessa Compagnia GAD Città di Pistoia hanno fatto da cornice allo spettacolo dalla forte carica emotiva, in cui ogni eccesso ritorna in una sua intrinseca necessarietà. Molto pathos  sospeso tra il surreale e l’orrida violenza, ma anche incredibili sprazzi di umanità e di abbandono al sogno. La Janara infatti, nonostante l’orrore che la circonda, confessa ad un certo punto il suo desiderio, quasi fiabesco e infantile, di ricevere un baciamano da un uomo galante, un baciamano inatteso, o forse troppo atteso o vanamente atteso. Invece la sua vita è tutta soprusi maritali da parte di Salvatore e di gravidanze a catena che l’hanno avvizzita prima del tempo; per miseria e scarsezza preparare quella ‘pietanza’ umana con il corpo del giacobino prigioniero è una maniera per sfamare i quattro ‘piccirilli’, mentre fuori da quell’ambiente ‘lurido e cencioso’ risuonano gli echi dell’armata sanfedista pronta a seppellire la breve vita del governo repubblicano e le speranze dei circoli democratici d’ispirazione giacobina e rivoluzionaria.
La Janara, però, sogna ancora e da vera strega, come il suo nome evoca, si nutre di una favola antica che forse le consente di sopravvivere. ‘O cunto ‘e Ficuciello’ e della madre Sarrafina diventa così, nello spettacolo, luogo oltre che di un’ulteriore narrazione anche di ideale riscatto, la storia della donna zoppa ‘male ammaretata’ con un uomo che tutti chiamano Tumore, per quanto è brutto dentro e fuori, è del resto un poco anche la sua storia. Il figlioletto Ficuciello, pure lui brutto e rachitico, è venuto al mondo dopo cinque figli maschi belli come il sole. Per il padre è soltanto da buttare.
Invece, fortunatamente, scamperà alla morte e proprie grazie a quelle fattezze, diventato ragazzino, renderà al Re un prezioso servigio per cui sarà ricompensato con grandi ricchezze.
La morale è che ‘quanno tieni fortuna nun guardà ‘nfaccia a nisciuno!’ e Ficuciello, uccisi in sonno il padre ed i suoi fratelli, potrà godere con la madre di quella fortuna, riscattando un destino segnato. Lucia del Gatto regala al pubblico un personaggio vero e potente, in un gioco recitativo nel quale un ‘impastato linguistico’ dai registri mutevoli ed alternati, che non scade mai nell’inutile artificiosità, si coniuga ad un gesto attoriale molto carico ma sempre necessario. La trivialità del contesto e l’assurdità di un cannibalismo fagocitante rendono, proprio attraverso la surreale narrazione, anche il crudo realismo di tempi efferati e di scontri fratricidi, dove la morte e la sopraffazione diventano l’’ordinario’, come del resto accade in ogni guerra. La regia di Gennaro Criscuolo, a sua volta, entro la cornice descritta ha conservato sempre sia la carica espressiva del testo che il lato toccante, a tratti commosso, di quel residuo di umanità femminile che prende corpo con il baciamano.
Ed il giacobino prigioniero, pur nell’assoluta diversità di borghese colto e dal parlare istruito, asseconderà il rito richiesto, entrambi i protagonisti si lasceranno andare ad un reciproco cedimento, e per un attimo ogni orrore si annullerà.
Il ricordo di un compagno massacrato ed il forte senso dei valori di lealtà  impediranno però al giacobino, cui sono stati tolti tutti i legacci, di profittare della situazione di libertà. Il destino riprende così le sue fila ed ognuno rientra al suo posto.
L’ultima scena è con il coltellaccio di Janara alzato, pronto a calare sul collo del Gentiluomo.
Gli applausi sono scroscianti e ripetuti, è stata premiata, oltre la favola noir e spiazzante, la messinscena tutta, forse perché ha espresso indicibilità come solo un grande teatro ed appassionati attori riescono a fare.    

Marisa Paladino

Stampa
Share.

About Author

Comments are closed.