L’opera a Luglio potrebbe sembrare un fatto asincrono. Sarà che si entra in teatro che il giorno è ancora vivo, sarà che le temperature metallurgiche non invogliano un certo abbigliamento formale (problema, tutto sommato, solo maschile), ma l’appuntamento estivo ha sempre quel sapore da ultimo giorno di scuola. Giorno in cui, rotti i formalismi, tutto sembra possibile e dove anche temi profondi vengono affrontati con spirito più leggero.
Candide si incastra nel cartellone del TCBO con questo approccio disinvolto. Ma il tema dell’opera di Bernstein è tutt’altro che semplice. Il testo di Voltaire da cui trae spunto il libretto di Hugh Wheeler prova a rompere quell’ottimismo ostinato che contraddistingueva la filosofia di Leibniz o Spinoza. Stiamo veramente vivendo nel migliore dei mondi possibili? Lasceremo a ricerche personali l’esplorazione biografica e bibliografica, attraverso l’universo profondamente controverso del musicista americano per scoprire quanto fosse pertinente e attuale la stessa domanda nell’America del dopoguerra.
Per noi è la prima volta. Questo è il primo Candide a cui assistiamo e non abbiamo riferimenti scenici a cui poggiarci per esprimere un giudizio. Tanto meglio, ne parleremo (come al solito) per quel che ne abbiamo tratto. E lo diciamo subito, siamo usciti dal Comunale Noveau arricchiti e con la mente ancora incartata in riflessioni filosofiche. Merito soprattutto della sapiente regia di Renato Zanella a cui dedicheremmo un mezzobusto o una statua equestre al centro del foyer per aver portato in scena il tema con acume e garbo, senza bisogno di sporcarlo con elementi di attualità o critica politica. Perché un quesito universale non ha bisogno di militanza ideologica. Inoltre, la sua regia è piena ma mai ingarbugliata, con elementi coreografici di danza che ne sublimano la riuscita. Il coro, poi, partecipa alle scene con sincero divertimento e questo arriva. Poi, che siano bravi lo abbiamo ripetuto spesso (ed anche qui ci vorrebbe un altro mezzo busto per il Maestro del coro Gea Garatti Ansini).
Marmo per tutti, o almeno per chi se lo merita. Le scene di Mauro Tinti sono pulite e funzionali. La scena si svolge sotto ad un’insegna “Westfaliae Universitas” che si degraderà man mano che i personaggi vedranno le bruttezze del mondo, perdendo lettere fino ad tramutarsi in “W la Veritas”. Dopo essere stati parte ed artefici di questo meccanismo cinico e crudele Candide e Cunegonde si ritroveranno con nuove e disilluse consapevolezze. Ma è una veritas impietosa che apre alla speranza <<Non siamo ciò che eravamo, né ciò che vogliamo essere. Quello che volevamo non lo avremo. Il modo in cui abbiamo amato non tornerà più. Ora amiamoci per cio’ che siamo>>.
Musicalmente la partitura strizza l’occhio a Broadway, con recitativi sostitutivi da voci narranti e momenti corali e solistici che ammiccano alla canzone.
La musica fonde elementi classici e folklorici, talvolta anche in modo scanzonato.
Kevin Rhodes interpreta la musica con un certo piglio ed un carattere monolitico da cui si può distinguere la mano nonostante una partitura molto varia. Avrà anche dipinto la tela musicale ad UniPosca ma a noi è piaciuta soprattutto, per un certo tipo di inarrestabile propulsione sonora. Non sempre è funzionale l’acquerello sfumato.
Dell’immenso cast citeremo la meravigliosa prova di Bruno Taddia nei panni di Voltaire/Pangloss/Cacambo/Martin, espressa con piglio e sagacia. Non avremmo potuto immaginare interprete migliore. Non abbiamo mai spostato gli occhi da Tethiana Zhuvarel, la cui Cunegonde ha fascino e presenza da vendere. Buono il suo Glitter and be Gay a cui, nell’interpretazione complessiva, perdoniamo anche qualche sbavatura.
Bene anche Marco Miglietta il cui mite Candide si ricorda per Timbro più che carattere. Bravi tutti gli altri cantanti del primo cast: Felix Kemp (Maximilian), Madelyn Renée (The Old Lady), David Astorga (The Governor), Aloisa Aisemberg (Paquette).
Mentre, nel finale, il mondo tornava come all’inizio, tra i banchi di scuola, noi siamo usciti da teatro con una nuova veritas.
Anche in quest’ultimo giorno di scuola.…. Non siamo puri, né saggi, né buoni; faremo del nostro meglio, costruiremo la nostra casa, taglieremo la legna e coltiveremo il nostro giardino…e coltiveremo il nostro giardino.
Ciro Scannapieco