Al TCBO divide et impera la personalità di Olli Mustonen

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Partiamo dalla fine e non per cimentarci in un flashback cinematografico. Questa interpretazione beethoveniana ci ha spiazzato e, forse, siamo riusciti a coglierne lo spirito solo nel Rondò finale del terzo movimento.
E se le orecchie non ci hanno ingannato avremmo dovuto chiederci se era veramente Beethoven quello che abbiamo ascoltato.
La risposta tanto banale quanto esaustiva si esplica in un paradosso: non abbiamo potuto ascoltare Beethoven perché,  ahimè,  sono passati quasi duecento anni dalla sua scomparsa e nessuno, ad oggi, può dire di conoscerne l’autenticità. Ebbene sì, Beethoven è morto ma ad ucciderlo non è stato certamente Olli Mustonen.
Al Teatro Comunale di Bologna non è andato in scena un giallo sulla morte del compositore tedesco ma, se lo fosse stato, avremmo asserito con assoluta certezza che il pianista e direttore finnico è assolutamente innocente.
A chi è stato richiamato dal programma di Domenica 25 Febbraio con in testa interpretazioni più iconografiche, molto orgogliose e pervase di elegante e austera dignità, forse avremmo consigliato di rimanere in poltrona ad ascoltare la registrazione di Michelangeli edita da Deutsche Grammophone sorseggiando un Rum invecchiato in botte compiacendosi di ogni nota tra vecchi tomi, carta da parati e dipinti ad olio.
Però che noia questa ricerca del consueto. Se Beethoven fosse stato un uomo noioso, avrebbe scritto musica come Mozart o si sarebbe rifugiato nella tradizione scrivendo come Bach.
E Se Bach non fosse stato incline al rischio forse scriveremmo ancora musica su tetragrammi. Continuando con questo adagio, andando a ritroso nella storia, se nessuno avesse avuto il coraggio di cercare una sola strada nuova, non avremmo inventato un solo strumento musicale e ci saremmo accontentati di picchiettare sulle pietre.
A provare l’innocenza di Mustonen al di là di ogni ragionevole dubbio c’è una tecnica pianistica cristallina e un approccio sincero alla partitura che ne perdona le incursioni più peculiari, nervose e fumantine al pentagramma. Il suo imperatore non è un sovrano pomposo ed autocelebrativo, bensì un condottiero che scende in battaglia con il suo esercito, il cui cavallo è in prima fila ad alzare la polvere. Non è, però, nemmeno un Attila che brucia e saccheggia i villaggi sconfitti. Non c’è mai violenza o il benché minimo accenno di eccessiva irruenza o di scherno per l’identità e la storia della partitura che affronta. In un’epoca involuta, fintamente aperta e anticonformista questo personalismo che non abdica mai all’eleganza e alla raffinatezza della nobiltà è quasi una benedizione. Viva il Re (o l’Imperatore)
E l’esercito? L’orchestra bolognese ha salutato questo imperatore, pianista e direttore venuto dal nord con un’iniziale timidezza anche se le incertezze sono state gradualmente superate, fino al più convincente ultimo movimento.
In definitiva il rapporto tra l’orchestra e il suo condottiero è stato rispettoso delle scelte di direzione e positivo nell’esecuzione, nonostante qualche sbavatura in qualche attacco e la gestione dinamica dei crescendo non sempre entusiasmante.
Se dovessimo descrivere il programma della prima parte, dopo un’iniziale riflessione diremmo che Mustonen ha suonato Mustonen, lo ha fatto attraverso un’affascinante esecuzione del Concerto per pianoforte e orchestra n.5 in Mi bemolle maggiore op.73 “Imperatore” in cui la musica proposta ha incontrato felicemente un’originale sensibilità musicale.
La seconda parte ha visto il musicista finlandese sul podio. La tonalità è la stessa anche per la Sinfonia n. 5 op 82 di Jean Sibelius, per l’appunto il MI Bemolle Maggiore. Finalmente abbiamo potuto godere della musica con libertà di pensiero, senza avere le orecchie epigrafate di qualsivoglia esecuzione di riferimento. La partitura è molto affascinante, sostenuta da un incessante e drammatico lavoro di archi con gli ottoni e i timpani che irrompono nel buio polare con la violenza cromatica di un’aurora boreale. Forse a tratti la scrittura è potuta sembrare prolissa ma si sa, al circolo polare artico la notte dura sei mesi. Che La Sibelius 5 sia uno dei cavalli di battaglia di Mustonen è stato ampiamente dimostrato sia per l’esecuzione dell’orchestra che per la sentita direzione. In particolare è piaciuto l’ultimo dei tre movimenti per l’uso intenso degli archi su cui si afferma il tema esposto dai corni.
Ha chiuso la serata il Poema Sinfonico op 26 “Finlandia”, una sorta di secondo inno nazionale finnico. Il lavoro, nato nel 1899 come musica per il quadro Suomiheraa (La Finlandia si risveglia), è una sorta di manifesto indipendentista che si contrappone alla politica egemone dello Zar Nicola II di Russia.
Che dire, forse quest’ultima partitura ha ecceduto in retorica. Ma è stato un vezzo del tutto perdonabile: in fondo è giusto che un sovrano dopo una battaglia vinta celebri se stesso e la Patria. Chi non ha apprezzato può sempre appellarsi alla libertà e dignità del pensiero democratico. Noi, almeno per la sera bolognese, siamo stati dalla parte dell’imperatore. Viva Mustonen.

Ciro Scannapieco

 

 

 

 

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