Questa figlia non è una tragedia. Il giovane cast de la Fille du Régiment convince il pubblico del TCBO.

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Niente è più gratificante di un pubblico sorridente a fine rappresentazione. La Fille du Régiment è uno di quei libretti che fa bene all’Opera perché genera buon umore.
Fu composta da Gaetano Donizetti nel 1840, primo dei suoi lavori francesi per l’Opéra-Comique di Parigi su libretto di Jean-François-Alfred Bayard e Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges. Nonostante l’iniziale boicottaggio da parte degli artisti locali ed una prima parigina non brillante, la freschezza del lavoro riuscì ben presto ad invertire il fato avverso della prima ora per garantire un duraturo successo.
Sebbene lo spirito giocoso e la presenza di dialoghi al posto dei recitativi possa accostare il lavoro al genere Comique, i due potenti incisi malinconici uniti ad una costruzione orchestrale e melodica di stile chiaramente italiano ne eleva il risultato a capolavoro. Se pensassimo che il contenuto buffo sia l’unica chiave di lettura faremmo sicuramente un torto a Donizetti, la cui sensibilità compositiva trova compiutezza nella sottile linea d’ombra tra scintille comiche e tenui momenti intimi come nell’Elisir D’amore e nel Don Pasquale. Questa profondità riesce a rivitalizzare una partitura che, a parte le aree e una brillante ouverture, non presenta elementi di forte genialità. Fermarsi a questa analisi, però, sarebbe piuttosto ingeneroso e non spiegherebbe il successo riscontrato dal libretto fin dalle prime rappresentazioni parigine. Quel che piace della Fille non è questo o quel momento musicale ma l’insieme del congegno operistico che tiene gli spettatori empaticamente vicini alla vicenda.
Diciamolo, la recita del 10 Novembre al Teatro Comunale di Bologna ci è piaciuta e non era così scontato. Se da un lato la direzione Yves Abel è una garanzia, la giovane età del cast vocale poteva destare qualche timore. Timori rafforzati dalle incertezze del corno nell’ouverture iniziale che hanno fatto temere che la recita potesse rotolare come un masso in un precipizio. Sono state, però, solo paure pregiudizievoli.
La bacchetta del direttore ha pattinato con freschezza sulla partitura, così come la commedia francese necessitava. E’ piaciuta sia la conduzione frizzante dei momenti più comici che la voce più intima e profonda dei passaggi più malinconici. Non era facile domare umori così contrastanti ma Abel ha diretto esaltando i colori della poetica donizettiana.
E le voci? Ha sorpreso la Marie della giovane Chiara Notaricola, non solo per la voce briosa e mai aspra, ma soprattutto per la sensibilità con cui interpreta la parte. Non si sono registrate sbavature o incertezze. Esame superato a pieni voti e l’ovazione finale non è stata solo un incoraggiamento per la giovane età bensì il tributo di un pubblico che esige rappresentazioni di livello. Prevediamo una carriera importante.
Applausi meritatissimi anche per Giorgio Misseri la cui vocalità ha delineato il carattere acerbo del giovane Tonio. Ad esser pignoli si registra qualche cautela nell’aria del secondo atto ma si è già certi che l’esperienza di palco donerà al tenore maggior consapevolezza. Il palermitano, in fondo, è già un onesto marito per la già matura (musicalmente parlando) figlia del Regimento.
Si potrebbe definire Atipica la scelta di un Baritono leggero dove ci saremmo aspettati un Basso ma il Sulpice di Alex Martini è piaciuto troppo per obiettare qualsiasi qualcosa. Buona sia la Berkenfield di Claudia Marchi che l’Hartensius di Niccolo Ceriani. Un unico appunto: fa così piacere vedere sul palco la sempre splendida Daniela Mazzucato che la risicata parte della Duchessa di Krakentorp quasi ci lascia a bocca asciutta.
La regia di Emilio Sagi, ambientata nel secondo dopoguerra, è intelligente e ficcante e ha esaltato le doti attoriali di tutti i cantanti. Solida (sembra ormai scontato dirlo) la prova del coro del TCBO.
Applausi e sorrisi. Ben vengano questi gioiellini allegri: aspettando di vedere – prima o poi – anche Offenbach in cartellone un magnifico Donizetti ci ricorda che l’opera non è solo Tragedie.

Ciro Scannapieco

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